giovedì 1 settembre 2011

Acqua, vino, succhi di frutta, bibite, latte…tutti contaminati dai contenitori in tetrapak e PET?


Buono come un bicchiere d’acqua?
Molte volte  ci si preoccupa cosa contiene un alimento o dell’acqua senza avere il sospetto che il nemico si nasconde nel contenitore.

Un bicchiere d’acqua in bottiglia di plastica corrisponde a una bella dose d’ormoni “sintetici” che modificheranno l’organismo.
 
La contaminazione dei cibi da parte delle sostanze chimiche presenti negli involucri non sono una cosa nuova.

Sotto accusa sono le bottiglie di plastica: il contenuto di ormoni femminili riscontrato nelle acque raccolte in tali confezioni è di gran lunga superiore a quello trovato nelle acque (anche le “stesse”, ossia provenienti dalla medesima fonte e della stessa marca) vendute nel vetro.

Lo studio è responsabilità di un gruppo di ricercatori dell’Università Johann Wolfgang Goethe di Francoforte, guidati da Martin Wagner e Jörg Oehlmann.
“Appare possibile che la contaminazione delle acque prese in esame da parte di xeno-ormoni” - ossia ormoni provenienti dall’esterno, non secreti dal corpo stesso – “sia originata dai materiali usati per il packaging”, si legge
nell’articolo pubblicato sulla rivista scientifica “Envirnomental Science and Pollution Research”, “dato che le minerali imbottigliate nel PET e nel tetrapack sono risultate più estrogeniche di quelle confezionate nel vetro. Ciò induce a concludere che additivi presenti nei contenitori migrino da questi ultimi agli alimenti”.
Wagner e Oehlmann hanno rivolto l’attenzione alle acque minerali in quanto l’acqua è un composto “semplice” e
non contiene ormoni endogeni (cioè non vi è un contenuto ormonale insito); inoltre, spiegano i ricercatori, “il consumo di acqua minerale è in crescita in tutto il mondo”.

I campioni utilizzati sono stati 20 (scelti tra marche differenti e fasce di prezzo variegate): nove di essi in bottiglia di plastica, nove in vetro e due in tetrapack (cartone internamente rivestito da una sottile pellicola plastica e quindi non riguarda solamente l’acqua minerale ma anche il vino, i succhi di frutta ed il latte).
Gli esperimenti sono stati condotti sia in vitro sia in vivo. Prima di tutto è stato misurato il quantitativo di estrogeni presenti in ogni acqua, facendo uso di un recettore di ormoni umani (analisi in vitro). La veridicità del responso è basata sul fatto che per ogni campione l’esperimento è stato condotto su tre bottiglie diverse e su ciascuna per tre volte. In seguito sono state fatte analisi in vivo su lumache terrestri femmine, monitorando la loro attività riproduttiva in condizioni di esposizione all’acqua estrogenata.
Cosa è emerso dagli studi?
L’analisi in vitro ha permesso di rivelare un’attività estrogena significativamente elevata in 12 dei 20 esemplari presi in considerazione. Più precisamente, sono stati rilevati ormoni in ben il 78% delle acque in bottiglia di plastica (ossia sette campioni su nove) e nel 100% di quelle in tetrapack (due marche su due), contro il 33% di quelle in vetro (tre campioni su nove).
Per valutare direttamente l’influenza del materiale di imballaggio, i ricercatori hanno analizzato acque minerali provenienti dalla medesima fonte, ma imballate con materiale differente: le minerali vendute in bottiglie di vetro sono risultate meno estrogenate delle corrispettive in PET. Più nel dettaglio, si è indagata anche la differenza tra contenitori in plastica riutilizzabili (vuoti a rendere) e monouso: l’acqua in confezioni usa e getta sono mediamente più cariche di estrogeni di quelle in bottiglia riutilizzabile (considerata non al primo uso), evidentemente perché queste ultime dissolvono il contenuto di ormoni nei vari passaggi, in più tra uno e l’altro sono risciacquate.
D’altro canto, l’analisi in vivo ha dimostrato che il contenuto ormonale delle acque prese in considerazione ha un effetto reale sull’equilibrio endocrino delle lumache, in quanto dopo 56 giorni di esposizione a 25 ng/l (nanogrammi per litro) di etinile-estradiolo la loro attività riproduttiva (valutata in numeri di embrione per femmina) è più che raddoppiata. In concreto, si è manifestato un significativo aumento della riproduzione nei campioni imbottigliati in plastica, piuttosto superiore rispetto a quello riscontrato nelle acque in vetro.

 “I nostri risultati forniscono una prima evidenza di una marcata contaminazione dell’acqua minerale da parte di estrogeni, con valori tipicamente nell’intervallo di 2-40 ng/l e picchi di 75 ng/l”, concludono i ricercatori di Francoforte. “Il consumo di acqua minerale imbottigliata e commercializzata potrebbe dunque contribuire all’esposizione complessiva degli esseri umani a sostanze in grado di alterare l’equilibrio endocrino del corpo.”

Tali sostanze fonti di ormoni costituiscono un’intera categoria, denominata EDC, ossia composti in grado di alterare l’equilibrio endocrino. Sono da anni poste sotto osservazione in quanto in potenza sono causa di danni all’organismo. Il legame di causalità tra l’ingestione di tali composti e gli effetti collaterali sulla salute umana, però, è ancora oggetto di controversie: non è una faccenda immediata, in quanto le malattie connesse agli ormoni possono essere correlate a varie cause, peraltro distribuite su un arco di tempo lungo. Non di meno, va detto che un numero non trascurabile di esperimenti suggeriscono che tale legame sia in effetti concreto.

In effetti l’uso del PET (polietilene tereftalato) per la realizzazione di imballaggi alimentari è consentito e disciplinato da una direttiva (la 2002/72/CE) della Commissione Europea e da una successiva modifica ratificata due anni dopo (2004/19/CE). Ne segue che le case produttrici di confezioni e le aziende alimentari, se si adeguano a tali normative, non sono da considerarsi direttamente responsabili degli eventuali danni all’organismo. Semmai dovrebbero essere modificate le direttive, ma per far ciò occorrono prove effettive dell’incompatibilità di determinati materiali con i processi biologici umani.

C’è ovviamente chi (case produttrici ed amici politici) sostiene che il PET e ciò che contiene non è pericoloso ma, forse sarà una coincidenza che:

L'Europa mette al bando il Bisfenolo A dai biberon a partire dal 2011

(composto presente  nei biberon, tettarelle e "ciucci")

A partire dal 2011 sarà così vietata la vendita nei negozi dei biberon di plastica trasparente in cui non sarà presente la scritta “bisfenolo free” che, come avevamo visto nel nostro articolo di approfondimento sui biberon ecologici, rappresentano la maggioranza di quelli attualmente in commercio.
La decisione, arriva dopo mesi di trattative e interrogazioni parlamentari all’interno dell’Ue che hanno dato voce ad anni di battaglie di ambientalisti e consumatori contro l’uso di questa sostanza.
Il bisfenolo A, infatti, è una sostanza altamente tossica e nociva per l'organismo umano che, paradossamente, si trova in molti prodotti per bambini. Il BPA, infatti, è utilizzato, non solo per la produzione di plastiche tra cui il policarbonato, (il materiale con cui sono realizzati la maggior parte dei biberon), ma anche, ad esempio, nelle vernici usate all’interno di lattine e altri imballaggi per la conservazione di prodotti alimentari, bevande e prodotti farmaceutici e nel 1996 venne classificato proprio dalla Commissione europea come una sostanza con “preoccupanti effetti” sulla salute umana. Molte ricerche, infatti hanno dimostrato come il bisfenolo A sia capace di alterare il corretto sviluppo cerebrare e interferire con il normale funzionamento del sistema ormonale, di quello nervoso centrale e del sistema immunitario. In particolare, il BPA nei bambini può causare malattie dello sviluppo sessuale, sterilità nei maschi ed è stato riscontrato in diverse ricerche, una maggiore frequenza del tumore della mammella nelle femmine.

Il sospetto che si potesse trattare di una sostanza dannosa c'era già agli inizi degli anni '30 e allora come mai si è aspettato tanto a metterlo al bando? Molti paesi tra cui Danimarca, Francia, Canada, Australia e diversi Stati USA hanno già vietato il bisfenolo nei biberon e, in generale nei prodotti in plastica per l'alimentazione. Ed ora anche tutti gli Stati Membri dell'Unione europea dovranno adattarsi.

Quindi abbiamo dovuto attendere 80 anni perchè il bisfenolo venisse messo al bando almeno per i biberon per i nostri bambini. 
Ovviamente c'è una domanda: in questi 80 anni che danni ha provocato il bisfenolo sui bambini.

Attendiamo a questo punto chel'Italia non dorma e vieti la commercializzazione e l’importazione dei biberon in policarbonato.


A proposito di biberon...sapevate che creano le carie????
La sindrome da biberon chiamata anche Baby Bottle Tooth Decay (BBTD). Come appare chiaro fin dal nome di tale patologia, la sindrome da biberon colpisce la dentatura decidua di bimbi molto piccoli. Le lesioni cariose si formano in genere sulle superfici degli incisivi superiori e la loro precisa collocazione nel settore frontale superiore, indica la responsabilità di tale precoce insorgenza (a volte in bimbi di età inferiore ai nove mesi), nelle scorrette abitudini alimentari dei genitori e dei bambini, come il prolungato utilizzo di biberon contenenti bevande zuccherate.

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